Ebbene sì …la strada preferibile per i contraenti sarebbe la rinegoziazione piuttosto che la risoluzione in linea con l’ esigenza manutentiva e di rinegoziazione dell’accordo che si ritrova nello stesso diritto dei contratti, in aderenza , altresì’ , al ben noto principio di solidarietà e di buona fede , veri, dogmi codicistici.
Nella Relazione 8 luglio 2020, n. 56 avente ad oggetto “Novità normative sostanziali del diritto ‘emergenziale’ anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale” la Corte di Cassazione ha affrontato, con riferimento ai contratti sinallagmatici, le seguenti due questioni:
1. la gestione delle sopravvenienze perturbative dell’equilibrio originario delle prestazioni contrattuali;
2. la scelta dei rimedi di natura legale e convenzionale.
In sostanza “il legislatore non si è inventato nuovi rimedi alle tensioni indotte dal lockdown , ma parte dalla risoluzione per impossibilità sopravvenuta” (art. 1463 c.c.), inquadrata come uno spazio stretto, poiché fruibile soltanto quando l’emergenza epidemiologica abbia reso o renda la prestazione contrattuale completamente e definitivamente ineseguibile o inottenibile.
Per l’ipotesi , ad esempio , della prestazione solo parzialmente o provvisoriamente impossibile, ove entra in gioco l’art. 1464 c.c. e per la quale il contratto non si risolve, ma la parte in difficoltà ha a disposizione tre opzioni:
1. ha diritto ad una corrispondente riduzione della propria prestazione;
2. può recedere dal contratto quando non abbia interesse all’adempimento parziale;
3. in ogni caso, a fronte della prestazione temporaneamente impossibile, può sospendere l’esecuzione della propria.
Alcune pronunce di legittimità hanno evidenziato che “l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell’obbligazione”.
E’ chiaro alla Suprema Corte, che le conseguenze della crisi hanno finito/finiscono per riportare nei casi concreti tratti di straordinarietà, imprevedibilità e inevitabilità tanto marcati da legittimare la parte pregiudicata ad agire in giudizio per la risoluzione del contratto squilibrato, ma d’altronde il rimedio risolutivo si pone in contrasto con esigenze conservative dei contratti e delle relazioni d’impresa così come tra privati cittadini. E qui è/sarà soltanto la parte favorita dallo sbilanciamento a poter evitare la risoluzione del contratto, proponendo la modifica delle sue clausole o condizioni, esattamente come previsto dal comma 3 dell’art. 1467 c.c.
Quanto all’art. 9, comma 1, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito in L. 27 del 24 aprile 2020, viene osservato che “la responsabilità del debitore inadempiente a causa della necessità di rispettare le misure di contenimento sembrerebbe elisa già in virtù dell’art. 1218 c.c., non a caso richiamato dalla disposizione di nuovo conio”. Inoltre, sempre in base al tenore della norma, lo sforzo di adattamento alle prescrizioni sanitarie non assurgerebbe ad esimente automatica dell’inadempimento, ma si limiterebbe a dover essere valutato come un dato rilevante nel contesto della valutazione sulla responsabilità. D’altronde, si possono verificare casi in cui le prescrizioni di contrasto all’epidemia non abbiano (avuto) effettiva incidenza sulla capacità del debitore di far fronte alle proprie obbligazioni, infatti resterà al debitore l’onere di dimostrare che è stato proprio l’ossequio alle misure di contenimento ad avergli impedito di eseguire la prestazione e così il nesso causale fra rispetto delle misure e inadempimento va provato e contestualizzato. Il debitore, in linea con la previsione dell’art. 1218 c.c., dovra’ offrire la prova circostanziata del collegamento eziologico fra inadempimento e causa impossibilitante rappresentata dal rispetto delle prescrizioni di contenimento dell’epidemia, in aderenza al ben noto principio di vicinanza della prova.
Si giunge così al tema della revisione o rinegoziazione del contratto squilibrato. Quando i contraenti non concordano le modalità di gestione delle sopravvenienze, il problema è individuare la base legale su cui, se del caso, fondare l’obbligo di rinegoziazione. Ogni qualvolta una sopravvenienza alteri l’assetto giuridico-economico formalizzato con l’accordo contrattuale, la parte danneggiata in executivis deve poter avere la possibilità di rinegoziare il contenuto delle prestazioni.
La S.C. chiama in causa l’art. 1374 c.c., nella misura in cui tratteggia l’intervento diretto del giudice sul contratto squilibrato, in virtù di un principio di eterointegrazione correttiva del contratto secondo equità. Attraverso la norma richiamata è possibile, nei contratti a lunga durata, una “clausola di rinegoziazione “in virtù della quale il dato obsoleto o non più funzionale possa essere sostituito dal dato aggiornato e opportuno.
Relazione Cassazione n 56/2020